La notizia che Facebook stia puntando decisamente sulle Stories per il proprio futuro lo trovo un segnale di debolezza.
The ‘Stories’ product that Facebook copied from Snapchat is now Facebook’s future: https://t.co/K6ZfoHuDcC
— Recode (@Recode) October 31, 2018
Si avverte lo scricchiolio di un modello che ha fatto della chiusura in un acquario spazioso ma limitato la sua cifra stilistica e soprattutto economica, nel quale un uomo e il suo team condizionano pesantemente i comportamenti degli utenti spesso inconsapevoli per un unico fine: fare soldi.
Fare soldi ad ogni costo, anche con pratiche commerciali al limite, come copiare Snapchat reo di non aver ceduto alla vendita o acquistare le piattaforme (Whatsapp e Instagram) con il corredo di utenti e dati per metterli dentro l’acquario pronti per essere venduti come attrazione per gli spettatori paganti.
La frase seguente spiega bene il senso dello Zuckerberg pensiero sulle stories:
“I just think that this is the future,” Zuckerberg said. “People want to share in ways that don’t stick around permanently, and I want to be sure that we fully embrace this.”
Contenuti istantanei che la gente vuole e che Facebook vuole sposare (e incentivare) completamente.
La tendenza dei contenuti senza futuro non nasce da snapchat che ha solo applicato al visuale un modello che di fatto anche su twitter funziona da anni: scrivere contenuti che è raro che poi si vada a recuperare, un modello che racconta il presente senza una grande volontà di volerlo recuperare a posteriori.
La creazione di contenuti usa e getta propone l’effimera sensazione di vivere il momento raccontandolo, una streaming life che appaga ego e spettatori in un mega multi channel globale che sta condizionando pesantemente comportamenti e modelli di business della aziende (stritolate da un mercato che cambia continuamente senza riferimenti certi).
Da capire però quanto di questo nuovo modo di creare contenuti sia evoluzione naturale di un modello di comunicazione digitale incentivato dagli strumenti sempre più potenti e soprattutto da una banda sempre più accessibile ed economica o forse sia invece una sorta di ribellione a uno stato di regole rigide di piattaforma, la percezione di un contenuto meno pesante e con meno responsabilità, la volontà di avere meno interazione se non moderata e mediata da reazioni-stickers semplici e quindi privandosi con coscienza delle dinamiche di comunicazione ostile che rendono spesso frustante e oggettivamente una perdita di tempo l’interagire sui social.
Spiegato quindi il successo sempre maggiore di Instagram (con le sue stories) a discapito di Facebook e del suo macchinoso, pachidermico, frustante e anche anacronistico sistema di gestione delle conversazioni.
La voglia di social meno soffocanti, la necessità di sentirsi più liberi di condividere il proprio pensiero, le proprie emozioni anche banali e quotidiane senza dover essere giudicati, una logica quasi passiva, televisiva, con produttori di contenuti e telesocialspettatori a visualizzare e dare i dati auditel-visualizzazioni e qualche telefonata like di ringraziamento.
Il modello ultraprofilazione degli utenti per venderli con in contropartita ambiente di interazione non è più così vantaggioso per l’utente che soffre e cerca evasione con strumenti meno impegnativi.
L’alternativa vera potrebbe essere dividere una parte dei profitti con chi li crea con i propri dati (gli utenti) per provare a invertire un modello che vive alla ricerca di sempre maggior traffico, di nuovi utenti, del farli interagire sempre più per mettere sempre più contenuti utili a profilarli.
Perché un modello così non può durare all’infinito.
Avevo già scritto di Facebook: